Il calcolo del rischio ed il criminale razionale

Abstract

Sempre più di frequente il dibattito politico è incentrato sulle politiche della sicurezza. Nonostante l’avvicendarsi di amministrazioni con orientamenti politici antitetici tra loro, il tema della prevenzione del crimine rimane una priorità, sia per i governi nazionali che per le amministrazioni locali. Quotidianamente i cittadini chiedono ai propri amministratori più sicurezza, ma non sempre questi sono pronti ad affrontare la tematica da un punto di vista scientifico. Nel presente elaborato vorremmo dedicare qualche riga ad un importante economista, premio Nobel, che con le sue teorie ha rivoluzionato la criminologia, dando nuova dignità all’economia e facendo sì che entrasse a pieno titolo negli ambiti delle maggiori teorie criminologiche. Gary Becker (2 dicembre 1930, Pottsville, Pennsylvania; 3 maggio 2014, Chicago).

Indice:

1. Le teorie criminologiche prima di Gary Becker

2. Il criminale razionale

3. Conclusioni

1. Le teorie criminologiche prima di Gary Becker

Fino ai primi anni Settanta gli studi criminologici erano volti ad analizzare il crimine sotto forma di devianza, ovvero i comportamenti messi in atto da una persona o un gruppo di persone non integrate con il tessuto sociale di riferimento.

Le maggiori teorie potevano raccogliersi:

  • nelle ormai superate teorie biologiche, il cui capostipite era Cesare Lombroso, secondo cui il comportamento criminale era da ricercarsi nei tratti fisici e nelle caratteristiche biologiche dell’individuo;
  • nelle teorie psicologiche, che spiegano il comportamento criminale attraverso carenze della relazione psicosociale;
  • nelle teorie sociali, che spiegano i fenomeni criminali su più vasta scala attraverso la statistica e l’uso delle correlazioni. Una determinata variabile all’interno di un contesto sociale può dunque influire su un dato comportamento deviante.

Ciascuno di questi ambiti criminologici difficilmente può fornire una spiegazione criminologica deireati deicolletti bianchi (white collar crimes, Edwin Sutherland1949). Sono i reati generalmente caratterizzati dall’assenza di violenza e commessi da soggetti rispettabili, di elevata condizione sociale e in occasione delle loro mansioni lavorative all’interno di un’attività economica legittima, e con l’abuso della fiducia di terzi, vittime di questi comportamenti.

2. Il criminale razionale

Nel 1930 nasceva Gary Becker, famoso economista che ha esteso l’analisi microeconomica a un ampio raggio di comportamenti umani, non necessariamente legati al mercato. I suoi studi, pubblicati nella raccolta di saggi “Essays in economics of crime and punishment” nel 1974 gli valsero il premio Nobel per l’economia nel 1992. Una delle tesi più interessanti dell’approccio “beckeriano” verte sul concetto di criminale razionaleil delinquente, all’atto di scegliere il comportamento illecito, opera un calcolo volto alla massimizzazione del proprio benessere.

Con la teoria del criminale razionale, Becker ha aperto le porte ad un nuovo ambito di studio della criminologia, quello delleteorie economiche individuando i fattori che influiscono in quest’equazione operata dall’individuo nella scelta del comportamento illecito:

  • probabilità di essere scoperti;
  • severità delle sanzioni;
  • reddito disponibile per altre attività legali o illegali;
  • valutazione dei benefici ricavabili;
  • propensione al rischio;
  • inclinazione personale a compiere reati;
  • circostanze ambientali.

Secondo Beckerun individuodecide di violare una norma se l’utilità attesa da questa violazione eccede il livello di soddisfazione al quale può pervenire utilizzando il suo tempo e le sue risorse in maniera alternativa, e cioè dedicandosi a un’attività ‘legale’.

Le sue teorie sono state negli anni di ispirazione per le politiche del controllo sociale, orientando i vari governi, circa le misure di prevenzione dei reati. Intervenendo sulle variabili dell’equazione diminuirebbe la propensione al crimine dei componenti di una società.

L’apporto di Becker alle teorie criminologiche è oggi di rilevante importanza per tutto ciò concerne gli studi legati, non solo ai più tipici white collar crimes, ma anche a tutta una serie di reati contro il patrimonio che vanno dal furto all’appropriazione indebita, dalla truffa informatica a (perché no!?) la frode assicurativa e ad ogni genere di reato finanziario. Fondamentale è l’approccio economico di Becker anche per lo studio dei reati contro la pubblica amministrazione o contro l’ordine pubblico come i reati di associazione mafiosa. È ormai consolidato che le organizzazioni mafiose attecchiscono dove lo Stato è assente. È bene però chiarire che la presenza dello Stato non si estrinseca solo con il controllo delle forze dell’ordine, ma attraverso una società civile che si fa foriera dei valori della convivenza civile e della legalità. L’obbiettivo delle politiche sociali deve essere dunque volto a privare i comportamenti criminali della loro attrattività.

Un altro interessante oggetto di studio è senz’altro la misurazione dei costi che le politiche della sicurezza comportano sulle casse dell’erario. L’obbiettivo è infatti quello di trovare il giusto equilibrio nell’allocazione delle risorse finalizzate alla riduzione o al controllo dei fenomeni criminali e individuare pene che minimizzino tali perdite sociali.I costi del crimine, ossia le spese di individuazione, cattura e arresto, i costi della giustizia e della detenzione dei criminali sono elementi utilizzati da Becker per il calcolo della domanda-offerta di crimini. Sulla scorta di queste premesse Becker riteneva che le “multe” fossero il metodo più vantaggioso di punizione dei reati, poiché mantengono le risorse e compensano la perdita sociale derivante dalla prevenzione e repressione del comportamento criminale. Su questo preciso punto Becker è stato fortemente criticato ma come ha tenuto a precisare in occasione del ricevimento del premio Nobel nel 1982, le persone non sono spinte dal solo profitto individuale ma sentimenti come l’altruismo, la fedeltà, lo spirito di abnegazione e di sacrificio, o ancora l’amore entrano nel calcolo dei costi e benefici.

È evidente che se consideriamo l’equazione in maniera totalmente asettica e fredda, questa non può che presentare gravi limiti, in quanto sarebbe sufficiente un esponenziale aumento della sanzione prevista, per intervenire sul risultato del calcolo razionale e prevenire così i comportamenti illeciti. Di fatto non è del tutto vero e le politiche della sicurezza fino ad oggi adottate lo dimostrano in quanto il solo l’inasprimento della sanzione non sposta granché “i piatti della bilancia. È sufficiente guardare oltre oceano o in tutti quei paesi dove ancora vige la pena di morte. Il massimo della gravità di una pena prevedibile non è di per sé ragione di una minore incidenza dei reati di sangue.

Tuttavia, l’inasprimento delle sanzioni, per i reati che suscitano maggiore biasimo da parte della società è la linea più frequentemente adottata da ogni amministrazione che i legislatori negli anni hanno operato senza intervenire su nessuna della altre variabili, quali ad esempio la probabilità di essere individuato e condannato o l’aumento del reddito percepibile da un’attività legale.

3. Conclusioni

Intervenire su qualunque altra variabile che non sia l’inasprimento della pena è compito arduo, in quanto richiede un impiego di risorse in settori lontani dalle scelte tipiche delle politiche della sicurezza quali la cultura (circostanze ambientali e inclinazione a compiere reati), o le politiche del lavoro (l’aumento del reddito percepibile da un’attività legale) o ancora sui trasporti, quando si intende agire sulla sicurezza stradale. Questo genere di interventi richiede che la sinergia di tutte le forze politiche sia volta alla prevenzione del crimine, agendo sulle cause e sugli agenti facilitatori dei comportamenti criminali ma purtroppo, i risultati si possono misurare solo nel lungo termine e mal si conciliano con l’esigenza demagogica di portare risultati nel breve termine.

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